La cooperazione sociale ai sindacati: insieme per i diritti dei lavoratori

Per le mense ospedaliere sono stati garantiti stessi livelli salariali e stessi diritti. Il contratto di chi lavora nella cooperazione sociale non può che essere quello della cooperazione sociale

Dichiarazione della cooperative sociali di tipo B, Betadue e  Margherita+ e del consorzio di cooperative sociali di tipo B, COOB

Torniamo, dopo che lo sciopero era stata revocato, sulla vicenda del contratto dei lavoratori delle mense ospedaliere che adesso sono alle dipendenze della cooperazione sociale. E che, come vuole la norma e il buon senso, hanno il contratto di questo settore. 

Nella ristorazione, nel pulimento, nei servizi ambientali, nel facchinaggio, nella gestione dei servizi informativi, nella gestione di attività ricettive e turistiche ed in tutte le altre attività che svolgiamo, applichiamo un contratto unico, quello della cooperazione sociale.

Non è un contratto particolare ma uno dei molti accordi nazionali che Cgil, Cisl e Uil hanno firmato. Se lo hanno firmato, lo avranno anche valutato positivamente.

Ci sono differenze rispetto a quello che avevano precedentemente i lavoratori interessati? In ogni incontro e ad ogni tavolo abbiamo ribadito ciò che ripetiamo adesso e cioè la nostra scelta di armonizzare il contratto della ristorazione a quello della cooperazione sociale. Non esiste, quindi,un problema occupazionale: tutti i lavoratori ex Pellegrini Spa sono stati riassunti, compresi quelli per i quali non avevamo obbligo di farlo in relazione alla cosiddetta clausola sociale. Non esiste un problema di livello salariale: tanto avevano in busta paga e tanto avranno. Non esiste un problema di diritti in quanto il nostro contratto è, per molti versi, migliorativo di quello della ristorazione. Nella provincia di Arezzo e in Toscana, le nostre due cooperative direttamente coinvolte e cioè Betadue e Margherità + rispettano pienamente e da sempre i diritti dei soci e dei lavoratori. Non solo: Betadue e Margherita + sono leader della ristorazione scolastica in Valdarno e Casentino.

Di più. nel merito, non sappiamo cosa aggiungere.

Vorremmo però dire che consideriamo i sindacati confederali, per la loro storia e per il loro ruolo nella società, perni insostituibili di ogni progetto di trasformazione sociale. Questa  valutazione ha ovviamente un senso se è reciproca. Liquidare la storia e il senso della cooperazione sociale, in modo particolare di quella che si occupa di inserimenti lavorativi, con frasi del tipo che la cooperazione stessa utilizza i soldi pubblici “come mera occasione di profitto, piegando a proprio piacimento la libertà di impresa, senza porsi il problema delle condizioni di lavoro” non aiuta il dialogo. E aggiungere che  le cooperative sociali “pretendono di imporre un modello basato sul profitto e non sulla valorizzazione del lavoro e sul rispetto dei lavoratori” può rappresentare una bella mazzata al dialogo tra sindacati e cooperazione sociale.

Cosa direbbero i sindacati se noi, in maniera del tutto errata e fuorviante, utilizzassimo frasi contenenti termini assolutamente inadatti a rappresentare  i sindacati come, ad esempio, conflitti tra federazioni di categoria per le tessere, tendenze corporative, difesa dei garantiti, scarsa attenzione a chi non ha alcuna garanzia? Avremmo ovviamente torto e quindi preferiamo non solo confermare il nostro apprezzamento e la nostra fiducia nei confronti dei sindacati confederali ma invitarli a battaglie comuni per difendere i lavoratori. Pensiamo agli appalti pubblici: perché non sostenere la battaglia della cooperazione sociale contro quegli appalti che rendono vincente il massimo ribasso? Perché difendere i lavoratori solo dopo e non prima degli appalti? Regole sbagliate generano problemi difficili: i sindacati confederali lavorino con noi per appalti giusti, capaci di premiare chi progetta e lavora bene, chi rispetta i contratti di lavoro e i diritti dei lavoratori. 

Percorriamo insieme questa strada e forse non avremo i problemi di cui siamo costretti a discutere oggi.